martedì 30 novembre 2010

Sentieri

Partiamo. Il sentiero è largo, pianeggiante, ben segnato e curato: sono entusiasta, il percorso è privo di difficoltà; parliamo e scherziamo appassionatamente, mentre tutti insieme camminiamo con passo costante e determinato.


Dopo qualche tempo la pendenza cambia ed il sentiero si fa gradualmente più ripido ed impervio: il tracciato si restringe, il terreno diventa scosceso e tutto questo rallenta la mia salita per via della mia scarsa capacità visiva. I discorsi si smorzano e non si scherza più, rimanendo concentrati sul sentiero: ognuno prende il proprio ritmo ed il gruppo si spezza. Io rimango un po’ indietro, le gambe cominciano a farsi sentire, ma tengo il passo.


Il sentiero è diventato impegnativo, il gruppo si è definitivamente sciolto ed io sono rimasto indietro. Proseguo a ritmo molto lento, le gambe scottano e mi manca il respiro: quella che sembrava una camminata tranquilla si è trasformata in una lotta drammatica contro la fatica. Mi fermo a riprendere fiato ma sono fradicio per cui riparto quasi subito per non prendere troppo freddo. Mi fermo di nuovo, persone mi superano. Sono solo; c’è un silenzio assordante: quelli che erano con me ormai sono avanti e dietro di me non c’è più nessuno. Diventa quasi impossibile riprendere il cammino, e stento ad andare avanti: non sento più le gambe, mentre il peso dello zaino sulle spalle diventa insopportabile ed il sudore mi si asciuga addosso facendomi venire i brividi.


Privo di forze ed in preda all’angoscia comincio a desiderare di fermarmi definitivamente e tornare indietro. Non sono preparato per questo tipo di cose, anzi, non sarei dovuto neanche partire: gli altri sono tutti allenati e non fanno nessuna fatica. A questo punto le cose più logiche da fare sono, o avvertirli e tornare indietro, oppure trovare un posto comodo ed aspettare il loro ritorno. Non importa che figura ci faccio, sono andato al di là delle mie possibilità.


Il silenzio diventa mostruoso e mi avvolge come per proteggermi: mi sento bene al riparo dal mondo e mi accorgo che potrei abituarmi a questo immobile torpore. Ma così non va bene, non è giusto. Ero partito per raggiungere il luogo di un evento unico nel suo genere e non posso deludere così le mie aspettative, non voglio rinunciare senza prima aver provato fino in fondo, inoltre, la soddisfazione di arrivare potrebbe veramente ripagarmi di tutti gli sforzi!


Faticosamente riparto, attorno a me ancora silenzio e solitudine. Metto un piede davanti all’altro tenendo lo sguardo rivolto verso il basso per non guardare il sentiero che ancora sembra interminabile; anzi, ho come la sensazione che la fine si allontani ad ogni mio passo.


Passa del tempo, il sentiero s’inerpica nel bosco, la luce penetra a sprazzi tra le fronde degli alberi rendendo per me ancora più difficile seguire il percorso. Adesso, però, mi sento meglio, perché nonostante tutto il desiderio di continuare e di arrivare ha preso il sopravvento.


Ad un certo punto comincio a sentire, molto in lontananza, una voce, il monologo di una persona che parla attraverso un microfono; chissà da quanto tempo è iniziato lo spettacolo. L’eco delle montagne lo fa sembrare vicino, anche se in realtà manca ancora un po’ di strada. Però, ad ogni mio passo la voce si fa più vicina: il sentiero ha smesso di prendersi gioco di me, la fine si sta avvicinando davvero. Esco dal bosco e percepisco la folla, ma non sono ancora arrivato. Poi, con mia grande sorpresa, sento un’altra voce, questa volta accompagnata dalla chitarra, non sapevo che doveva esserci anche la musica. Io questa voce la conosco! Le mie gambe non mi reggono più, ma allungo il passo, non voglio perdermi l’ultima parte dello spettacolo.


Ecco gli altri: sono arrivato. Lascio cadere lo zaino e mi sdraio sull’erba sotto il sole; devo sembrare davvero stremato, perché qualcuno mi chiede se va tutto bene. Certo che va tutto bene: sono arrivato, ora non c’è silenzio e non sono più solo e dico a me stesso che laggiù da qualche parte lungo il sentiero avevo fatto bene a scegliere di continuare. Sì, perché anche se questa giornata potrebbe non aver inciso in maniera determinante sul corso della mia vita, ho imparato ancora una volta che non vale la pena rinunciare a qualcosa che potrebbe dare delle soddisfazioni anche piccole; infatti, a volte alla lunga desistere accontentandosi di immaginare come sarebbe stato è più doloroso che sentirsi consumare dalla fatica, dalla tensione e dall’angoscia. L’entusiasmo e la passione iniziali non mi sarebbero bastati per raggiungere la fine del sentiero se non ci fossero stati anche il desiderio e la volontà di farlo.

venerdì 1 ottobre 2010

Punti di vista

Punto di vista 1

Era impossibile distinguerle in contro luce: stessa altezza, stesso taglio di capelli, stessa corporatura, stessi occhiali, abbigliamento simile, appoggiate una accanto all’altra con la schiena contro il vetro nella stessa identica postura; perciò, nel momento di restituire la chiave, credetti di trovarmi davanti alla legittima proprietaria mentre, invece, la persona giusta era l’altra, quella che le stava alla sua destra!

Non avevo riconosciuto i volti, a causa della mia scarsa capacità di distinguere i particolari anche da vicino e mi resi contro che questo poteva effettivamente essere fonte di perplessità ed imbarazzo in chi mi sta intorno.


Punto di vista 2

Il sito era in portoghese. Io stavo lavorando sul mio terminale, mentre cercavano di decifrare il contenuto delle pagine web con l’aiuto di una madrelingua. Finite le mie attività rivolsi loro l’attenzione e, scorrendo la pagina iniziale del sito che stavano studiando. mi accorsi, con stupore, della dicitura impressa in alto a destra della pagina: english version!

Mi meravigliai di quanto fossi stato capace di cogliere certi particolari e di quanto questi fossero sfuggiti a chi in teoria avrebbe dovuto notarli subito.


Punto di vista 3

Settembre, sera, strada di città: alle 19.30 cala già la sera e non si capisce bene che luce ci sia, sospesa tra quella naturale del giorno e quella artificiale dei lampioni. Improvvisamente, camminando verso casa sul marciapiede, mi trovai davanti una persona sbucata fuori all’improvviso. In realtà quella persona, che mi veniva incontro, era sempre stata davanti a me, ma io l’avevo scorta solo all’ultimo momento: mi bloccai, ebbi un attimo d’incertezza, mentre la persona mi superava allontanandosi in senso opposto al mio. Ripresi a camminare, poche decine di metri mi separavano ancora casa mia, riparo sicuro.


Punto di vista 4

Guardai meglio. La luce del sole batteva proprio a livello del buco della serratura, così da rendere facilmente visibile il pezzo di carta che bloccava l’entrata della chiave: niente avrebbe potuto aprire quella porta, ma nessuno si era accorto. Infatti, non so come, ma avevo avuto l’intuizione di abbassarmi e guardare dentro la serratura, mentre cercavano la chiave giusta: mi crogiolai del fatto che avevo contribuito alla soluzione del problema, notando qualcosa che nessuno aveva visto.


Io sono ipovedente, più precisamente cieco ventesimista secondo la classificazione della Commissione Sanitaria e, come illustrato già tempo fa (Immaginare), il mio disturbo visivo presenta aspetti molto curiosi ed apparentemente contradditori: è difficile spiegare a chi non mi conosce che cosa e come vedo. Ora, però, mi domando se sia davvero la vista che risolve tutto oppure se siano piuttosto l’istinto e l’intuito. In realtà penso che dovrei cercare di sviluppare bene questi ultimi due strumenti, perché mi permetterebbero di superare il lato negativo del mio orgoglio e la diffidenza verso gli altri (aspetti questi della mia personalità che a volte si fanno sentire) e di poter sfruttare meglio le mie potenzialità.

martedì 7 settembre 2010

Ho sognato una voce

Fragore nella mente che non mi fa dormire, visioni, voci nel buio, sogni interrotti. Cos’è che manca? Forse la capacità di apprezzare!

martedì 24 agosto 2010

La coperta

Ripiego la coperta e per un attimo mi lascio rapire da un vago senso di amarezza: aspettative deluse, desideri interrotti; cerco di capire cosa mi riserva il futuro. Ho appena terminato i miei giorni di ferie, trascorsi tra città, mare e montagna e si accavallano immagini e sensazioni.


Al rientro dalla città, prima tappa delle vacanze, mi sentivo malinconico. Ricordo, infatti, che appena la terra aveva cominciato ad allontanarsi sotto di me mi ero sentito stringere la gola e quasi a stento ero riuscito a trattenere la commozione: erano stati giorni sereni e caotici in una città che amo e che mi fa sempre sentire a casa, ma in quel istante avevo sentito come un pesante senso di vuoto, senza sapere più come riempirlo.


Poi, il viaggio verso il mare, in un venerdì 13 freddo e tempestoso. Fui protagonista di un piacevole quanto spontaneo scambio di favori con una compagna di scompartimento: infatti, io la aiutai a sistemare i bagagli e lei mi diede una mano (forse sarebbe meglio dire un occhio) quando dovetti comunicare al controllore il codice di prenotazione stampato sul biglietto. Questa banale circostanza del tutto inaspettata mi aveva permesso di riempire felicemente il tempo del viaggio.


Avevo dovuto, invece, ridimensionare la durata del mio viaggio in montagna, inizialmente programmato per un periodo più lungo, ma ciò mi permise, avendo scelto di rientrare in una data diversa, di partecipare ad una festa in alpeggio e di fare l’esperienza di uno spettacolare volo in elicottero, grazie al quale, nel tragitto verso il sito della festa, ebbi occasione di apprezzare appieno la bellezza della natura e dei paesaggi di quei luoghi: la giornata si rivelò unica, anche per l’accoglienza degli organizzatori in generale, il cibo e la gente.


Richiudo la coperta nella sua custodia, mentre tutto questo mi scorre nella testa: nonostante un generale senso d’incertezza riguardo al presente e, soprattutto, al futuro mi convinco che dai piccoli gesti possono nascere altri gesti, altre iniziative, nuove situazioni e condizioni; che l’evolvere degli eventi di ogni giorno può riservare delle sorprese e che basta avere un po’ più di fiducia in sé e nelle proprie convinzioni per superare i momenti di impasse.

venerdì 16 luglio 2010

Volersi bene

Ti voglio bene!

Mentre restarono lì stretti in un abbraccio sincero e commovente capì, anche se faticava a crederci, che qualcosa ormai era cambiato, che ciò che conosceva ora non era più scontato; quella persona che così tenacemente avvolgeva quasi come volesse proteggerla stava richiedendo il proprio spazio, lo stava allontanando.
Avrebbe voluto prendersi ancora cura di lei, di strale vicino, ma si rese conto che non sarebbe stato possibile, aveva fatto la sua parte, ma ora doveva lasciarla libera. Percepì un improvviso e doloroso senso di distacco insinuarsi tra loro, si senti stringere il cuore e con la voce rotta dall’emozione e dalle lacrime che silenziose cominciarono ad invadere il viso ed a bagnare i capelli della persona che stringeva sibilò quelle tre parole così brevi e chiare senza riuscire ad aggiungere altro.
Per un attimo ancora si strinsero così forte che le braccia cominciarono a fare male.

Quella esperienza gli aveva dato molto: aveva imparato, finalmente, ad amare ed a lasciarsi amare, aveva capito quanto valeva e quanto potesse risultare importante il proprio contributo nel mondo; aveva compreso che le cose possono non andare come previsto, ma che questo, anche se apparentemente inconcepibile, non doveva scoraggiare ne far perdere la fiducia in sé e nel mondo.
Decise che se fosse riuscito a vivere bene, le cose si sarebbero sistemate da sole al momento giusto.

sabato 19 giugno 2010

Oltre il colle

Una sera, come tante altre, mi sono incamminato a piedi verso il locale. Da casa mia si deve scollinare, seguendo un percorso quasi completamente pedonale. Prima bisogna salire per un vicolo lastricato di pavé, costeggiando edifici vecchi ristrutturati e muri di cinta interrotti da portoncini e cancelli. Spesso dalle case si sente il suono di un pianoforte che rompe il silenzio del vicolo senz’auto.

In cima alla salita il panorama finalmente si apre e si può osservare praticamente tutta la città bassa dall’alto fino alla periferia sud e, ancora più in là, fino all’aeroporto internazionale. La presenza di coppie di innamorati e non rende il paesaggio ancora più suggestivo.

Infine, si deve percorrere una parte della cinta muraria e ridiscendere verso la città bassa dalla parte opposta rispetto al punto di partenza, ripiombando nuovamente nel caos.


Le fasi della passeggiata rispecchiano i miei pensieri. La salita, che di solito inizio quando è ancora chiaro, è il momento più faticoso, quello in cui in genere si è più concentrati e che si vorrebbe finisse presto. In questa parte del percorso mi assalgono tutte le percezioni e le sensazioni più negative ed i pensieri più angoscianti dei giorni addietro. La mia mente, la mia anima ed il mio cuore sembrano prosciugati dal disincanto e dalla disillusione e s’inaridiscono, lasciando dentro di me una sensazione angosciante di ineluttabilità; mi sento in trappola.


La fine della salita è il momento in cui finalmente la fatica si scioglie, si recuperano le forze e s’incomincia a sentirsi sollevati. Prendo un grande respiro ed in un istante libero tutta l’ansia della salita: ora posso di nuovo pensare liberamente, lasciarmi pervadere dalle sensazioni e percepire il mondo circostante; la sensazione d’ineluttabilità lascia il posto ad uno stato d’animo di attesa e non mi sento più in trappola.


La discesa è decisamente piacevole, non si deve più faticare e ci si sente tranquilli. Penso a quella che mi aspetta (la gente del locale, le persone che conosco, il lavoro, i rapporti) e ripeto a me stesso le parole che qualcuno mi disse qualche giorno prima: Tu puoi fare tutto.

Questo non significa che io devo sapere e fare tutto quello che fanno gli altri; la cosa importante è sapere che io ho le stesse possibilità degli altri di provare gioie e dolori, di sperimentare difficoltà e serenità, di amare e di odiare. Io devo vivere la mia vita e non quella degli altri: è così che riuscirò a dare la giusta importanza alle cose e ad essere attivamente presente nel mondo e nella vita degli altri.


Ecco: la salita ha condotto alla discesa, i brutti pensieri iniziali hanno lasciato il posto a pensieri di accettazione e speranza.

martedì 25 maggio 2010

Il mio mestiere

Ho cercato di riassumerti i fatti principali che mi sono accaduti in tutti questi anni, ti ho dato un’idea di quello che ho fatto e dell’ambiente dove ho lavorato. Volendo, potrei darti una mano per farti entrare nel mondo del lavoro in cui io ho vissuto per trentaquattro anni. Vuoi fare il mio mestiere?


C'era un tipo che viveva in un abbaino per avere il cielo sempre vicino; voleva passare sulla vita come un aeroplano, perché a lui non importava niente di quello che faceva la gente. Solo una cosa per lui era importante e si esercitava continuamente per sviluppare quel talento latente che è nascosto tra le pieghe della mente.

E la notte, sdraiato sul letto, guardando le stelle dalla finestra nel tetto con un messaggio

voleva prendere contatto.


No, non voglio fare il tuo mestiere, non mi sento tagliato per quel tipo di lavoro. Ho passato tutta la vita a concentrarmi su un altro tipo di argomento che ora mi parrebbe stupido non mettere in pratica ciò che ho imparato.

Ho rubato il tempo, ma ora ho trovato una collocazione, la mia dimensione e mi sento libero.


Dopo un po' di tempo la sua sicurezza comincia a dare segni di incertezza: si sente crescere dentro l'amarezza, perché adesso che il suo scopo é stato realizzato si sente ancora vuoto, si accorge che in lui niente é cambiato, che le sue paure non se ne sono andate, anzi che semmai sono aumentate dalla solitudine amplificate.

E adesso passa la vita a cercare ancora di comunicare con qualcuno che lo possa far tornare.


mercoledì 5 maggio 2010

Desideri

Ognuno di noi cerca di coltivare i propri desideri, ma durante la vita può capitare di venire sopraffatti dagli eventi. Quando la vita ricade addosso con tutto il suo peso e tutto sembra insormontabile, lo sconforto è grande e ci si scoraggia.


Non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo... salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l'unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l'ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male. E' lì che salta tutto, non c'è verso di scappare, più ti agiti più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci. Non se ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare. Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male che tu non puoi nemmeno immaginare - Oceano mare


Più che nella fortuna (che comunque, come una scintilla, può agevolare il processo), nei momenti di sconforto bisogna credere in se stessi e nel domani, con la convinzione che niente e nessuno può e deve mettersi tra noi ed i nostri desideri.

venerdì 23 aprile 2010

Camminando lungo la spiaggia

Due adolescenti camminano scalze, con i pantaloni rivoltati sopra le caviglie, lungo il bagno-asciuga, bagnato dolcemente dall’acqua del mare. Il mare è calmo, ogni tanto si alzano raffiche di vento, ma il sole di metà mattina comincia a dare segni di primavera e si sta bene; è un peccato che si debba ripartire.

L’acqua avanza e si ritira sul bagno-asciuga come fa da sempre e come continuerà a fare per sempre, insinuandosi tra i granelli di sabbia. Un po’ come i pensieri che continuamente s’insinuano nella mente; si dice che camminare aiuta a riordinare i pensieri ed a lasciarsi alle spalle quelli gravosi.


Soprattutto, non perdere la voglia di camminare: io, camminando ogni giorno, raggiungo uno stato di benessere e mi lascio alle spalle ogni malanno; i pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo, e non conosco pensiero così gravoso da non poter essere lasciato alle spalle con una camminata […] perciò basta continuare a camminare, e andrà tutto bene. (Soren Kierkegaard, Lettere a Jette)


E la spiaggia, soprattutto nei periodo fuori stagione e quando si distende per chilometri a perdita d’occhio rappresenta, tra gli altri, un ottimo posto per camminare, da soli od in compagnia. Passo dopo passo tutti i pensieri come quelli che riguardano gli amici, il lavoro, la società, l’amore, ritrovano progressivamente il filo logico e la collocazione spazio-temporale: è un fenomeno quasi automatico e la testa si riempie in maniera ordinata, come gli scaffali di una biblioteca.


La camminata ha dato i suoi frutti: rinvigoriti da questa rinata lucidità mentale e stimolati dal desiderio di mettere in pratica ciò che la mente ha concepito, si può riprendere la giornata da dove era stata lasciata prima della camminata.


Le due adolescenti accendono la musica, continuando a camminare con i piedi nudi nell’acqua fino alle caviglie ed i pantaloni rivoltati per non farli bagnare.

mercoledì 24 marzo 2010

La brutta notizia

Vado via, ho accettato un lavoro...


Così si ricomincia tutto da capo, da un’altra parte: nuova casa, nuovo ambiente, nuove persone, nuovo lavoro...non si fa in tempo ad ambientarsi che già la vita ti richiama altrove!


Ci si abitua al cambiamento, si impara a socializzare, a comunicare; cose come libertà, stabilità economica, radici, legami acquisiscono un senso ed un valore.


All’inizio è tutto bello, nuovo, entusiasmante, thrilling. Si è pini di aspettative, curiosità, paure ed incertezze, di ansie, ma di quelle buone, di quelle che ti fanno reagire.

Con il tempo le proprie scelte cominciano ad assumere un peso, coinvolgendo e condizionando sempre più la propria esistenza e l’ambiente che ci circonda.

Finalmente si diventa consapevoli davvero di ciò che conta e, soprattutto, di chi è importante per noi, si creano e si fissano i rapporti con gli altri, si focalizzano con più chiarezza i propri desideri ed obiettivi: un pizzico di casualità e di fortuna completano la messa a fuoco.


Forse, non è poi così una brutta notizia!

lunedì 8 marzo 2010

Il binario

Metto le cuffie ed avvio il lettore MP3 in modalità Riproduzione casuale dei brani, mentre il treno lascia la stazione; un po’ di sferragliamento lungo le rotaie che portano fuori dalla città e poi, accelerazione. Con il quadruplicamento della linea, ora anche i treni locali hanno i loro binari dedicati e possono correre più velocemente.

Dal finestrino osservo il paesaggio scorrere, mentre scorrono anche i brani sull’MP3; il treno si ferma ad una stazione proprio in concomitanza con l’inizio di una canzone ed improvvisamente mi torna in mente la sera di qualche mese fa: non ricordo bene tutti i particolari di quel momento, ma mi sembra di vedermi ancora sul marciapiede di quello stesso binario. La coincidenza tra il testo della canzone e la stazione dove si è fermato il treno, mi colpisce e dico a me stesso che non è brutto ripensare ad una cosa bella. Poi, il treno riparte, lasciandosi la stazione alle spalle.


giovedì 4 marzo 2010

Il compromesso

[...] Come fate voialtri laggiù a sceglierne una [strada], a scegliere una donna, una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare [...] Tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n’è! Ma non avete paura, voi, di finire in mille pezzi anche solo a pensarci a quella enormità [...] La terra è una nave troppo grande per me.


Un uomo con un fantastico talento riempie di vita un piccolo mondo finito di persone: giorno dopo giorno le folle estasiate esultano e lo acclamano; giorno dopo giorno il mito dell’uomo cresce e si rafforza. All’interno del piccolo mondo finito egli può usufruire di un numero infinito di combinazioni per soddisfare il suo talento.


Ma fuori da questo mondo, nessuno conosce l’uomo ne il suo talento.


Solo tu sai che sono qui.


è troppo forte la paura del grande mondo che si trova al di fuori, è troppo grande il timore di amare e di crearsi delle radici; l’uomo preferisce dedicare la sua esistenza a sgravare, in maniera indubbiamente eccezionale, i cuori della gente che gli passa davanti, dalla paura di quest’immensità. Sceglie di evitare compromessi con la vita e di disarmare i propri desideri e le proprie speranze, rifugiandosi fino alla fine in quel piccolo mondo finito che per tutta la vita ha conosciuto i suoi pensieri e custodito il suo cuore. E con la sua scomparsa, svanisce anche il suo talento, straordinario dono, in questo caso fine a se stesso.


martedì 23 febbraio 2010

La pesca

Adesso, però, mi devi raccontare!


Beh, è stata un’esperienza...


Puoi parlarne?


Certo. Era incominciata piano, con discrezione e naturalezza; e con lo stesso spirito immutato era continuata, con semplicità, spontaneità, disinvoltura ed assenza di artificio.


Poi cosa è successo?


Era una questione di percezione: la stessa cosa poteva venire percepita in modo diverso. Non sempre questo viene compreso immediatamente ed a volte servono scelte coraggiose per capire ed accettare percezioni diverse. Questo è il punto e non è una colpa se esistono molteplici visioni, motivazioni e sensazioni, se si vivono circostanze e stati d’animo differenti.


Allora non si era pronti per questo. Forse non si è mai pronti!


Immagina di essere un pescatore e di trovarti, insieme ai tuoi compagni, su un peschereccio ancorato non troppo lontano dalla riva. Il pescato è scarso e sulla barca regna lo sconforto. Poi qualcuno propone di prendere il largo e gettare le reti in acque poco frequentate: qualcuno è entusiasta, altri sono scettici, ma si decide comunque di tentare. Al largo, lontano dalla riva e dai soliti posti, in un punto da dove non si riescono più a distinguere la costa, il porto e gli altri pescherecci, ma da dove si ha una visione diversa più ampia di tutto, la situazione si capovolge: le reti si riempiono fino quasi a spezzarsi e la barca quasi si capovolge dal peso dei troppi pesci.

Insomma: allontanarsi per trovare tesori altrove?


Si, ma bisogna riportare i pesci a riva!


Allora, allontanarsi per ritornare?


Per continuare la storia, l’esperienza al largo ha smosso qualcosa riaccendendo in ognuno la speranza, che si era affievolita per la scarsità del pescato e contemporaneamente infondendo una nuova sensazione di freschezza ed una rinnovata consapevolezza: così si diventa pronti e veramente liberi di seguire la propria strada; ma, a questo punto non deve preoccupare se, magari, è una strada diversa da quello che ci si aspetta.


Nonostante tutto mantieni una certa serenità: questo è positivo!


Non serbo rancore, tutto era iniziato con naturalezza: questa era penetrata da qualche parte e da qualche parte deve manifestarsi di nuovo!

martedì 16 febbraio 2010

Fantasma

Seduto sul sedile del passeggero, si girò per guardare fuori dal finestrino dell’auto. La piazza, concepita negli anni venti del secolo scorso, era lì, come sempre: di notte dava il meglio di sé.


In quel momento ripensò ad un film che aveva visto qualche mese prima presso l’auditorium di quella piazza e si ritrovò quasi per caso a riflettere sulla sua vita.


Quante case e quanti ambienti aveva cambiato, dove magari avrebbe potuto mettere radici. Quante persone aveva involontariamente lasciato, con cui magari avrebbe potuto condividere esperienze durevoli. Quante difficoltà negli anni e quante scelte non scontate per accumulare il bagaglio di esperienze attuale. Quante relazioni, amicizie, rapporti aveva visto passare e mutare a seconda delle circostanze e degli stati d’animo, quante sicurezze, desideri ed idee aveva visto cadere troppo repentinamente.






Mai come prima le parole del protagonista di quel film riecheggiarono nella sua mente con tanta passione:


Dovunque un poliziotto picchia una persona,

dovunque un bambino nasce gridando per la fame,

dovunque c'è una lotta contro il sangue e l'odio nell'aria,

cercami e ci sarò.

Dovunque si combatte per uno spazio di dignità

per un lavoro decente, una mano d'aiuto,

dovunque qualcuno lotta per essere libero,

guardali negli occhi e vedrai me.


Ciò che conta è che bisognerebbe avere qualcosa in cui credere, infatti, si riuscirebbe a superare meglio cose come le incomprensioni e la solitudine non sarebbero nemmeno concepibili.


Tutto questo pensò mentre in auto passava, seduto sul sedile del passeggero, davanti alla piazza dopo mezzanotte e, benché si sentisse solo, quelle parole di speranza e coraggio gli diedero un senso di libertà e serenità.

domenica 7 febbraio 2010

Bacheca

La finestra della stanza era ampia e la visuale era spettacolare. Al risveglio, tirando le tende, la luce del mattino inondava l’interno ridando colore ai mobili, ai vestiti, alle pareti; e dopo il tramonto le luci della città coloravano le strade, i grattacieli, il cielo con colori incredibili.

La città non dormiva mai, perché in ogni momento succedeva qualcosa.


Però, ogni tanto si deve andare a dormire, chiudere le tende, spegnere la luce e staccare la mente, lasciandola libera, magari, di avventurarsi nel mondo dei sogni.


C’è chi riesce ad addormentarsi subito e chi, invece, ritarda a prendere sonno; c’è chi, pur addormentandosi in fretta viene risvegliato nel cuore della notte od ai primi segni dell’alba da pensieri e preoccupazioni; c’è chi, invece, ha un sonno agitato non ristoratore e c’è chi è addirittura insonne!


Nel momento in cui si chiudono le tende ciò che è dentro è dentro e ciò che è fuori è fuori.


Chissà se ciò che è fuori sarà ancora al suo posto al risveglio!


E se si potesse far entrare nella stanza il mondo esterno con tutte le persone, le luci, i rumori, gli eventi, le gioie, i dolori e se si riuscisse a fissarlo al muro con delle puntine, come su una bacheca? Forse si dormirebbe meglio!

Sarebbe bello fermare tutto ed andare a letto con la certezza che senza di noi non potrebbe succedere nulla, sarebbe bello essere in controllo di tutto, al centro di tutto; fissare la vita al muro fino al mattino, così non dovremmo più preoccuparci di nulla!


Ma è proprio necessario controllare tutto per stare tranquilli? In quei momenti di pausa e silenzio come durante la notte, volenti o nolenti, si finisce per tirare un po’ le somme e riemergono sensazioni e pensieri che le occupazioni della giornata ci avevano temporaneamente fatto dimenticare; in quei momenti ci rendiamo conto meglio della nostra fragilità e di come sia difficile confrontarci da soli con noi stessi.

Ma noi non possiamo controllare tutto, non possiamo avere in mano tutta la conoscenza, ne possedere un’esperienza perfetta. Possiamo, però, controllare noi stessi e comprendere le nostre potenzialità, conoscere i nostri talenti da sfruttare, scoprire i nostri desideri ed in cosa crediamo: fragili sì, ma preziosi, come il cristallo!


Con questo stato d’animo scevro da condizionamenti esterni, finalmente potremo chiudere le tende, spegnere la luce e tranquillamente andare a dormire senza voler fermare il mondo; lasciare libera la mente e riposare il corpo. Il giorno dopo potremo essere di nuovo in pista a dare il nostro contributo.


martedì 26 gennaio 2010

L'istinto

[...] mi sento disarmato e penso che nella circostanza sarei preso dall’angoscia di dover chiedere aiuto a degli sconosciuti con un bambino in braccio. Oggi questa eventualità mi spaventa e mi scoraggia: spero che non debba mai succedere, ma se dovesse, voglio pensare di riuscire a gestirla.” (La bambina)


Gli autisti degli autobus, si sa, non sono sempre diligenti anzi, a volte tengono, tra le altre cose, una guida molto nervosa!

Qualche sera fa, tornando a casa, è salito sull’autobus un bambino accompagnato dal padre. Si erano posizionati entrambi davanti a me, il padre si era subito attaccato, mentre il bambino, che portava uno zaino pesante sulle spalle. Ad un certo punto l’autista ha frenato di colpo e per inerzia i passeggeri liberi sono stai sbalzati in avanti, compreso il bambino davanti a me. Istintivamente l’ho afferrato per lo zaino, frenando la sua caduta. Il padre, da bravo bergamasco, ha detto al bambino di aggrapparsi, senza rivolgermi nessuna attenzione.


Il mio gesto mi ha sorpreso, perché non pensavo di avere questa “prontezza”; invece, non ho avuto nessuna esitazione, non ho pensato, anzi mi è sembrato quasi normale, come se fossi io responsabile di quel bambino. Quanti altri gesti istintivi trattengo dentro di me?


Dopo ho pensato: “Si può vincere l’angoscia”! In effetti a volte è difficile superare quel momento quando ti senti preso da un groppo soffocante da cui non riesci a liberarti. Bisognerebbe riuscire a non pensarci, prima che questo stato d’animo si tramuti in ansia vera e propria, più difficile da eradicare; bisognerebbe ricordarsi degli attimi in cui, senza pensare, abbiamo liberato il nostro lato migliore, affidandoci proprio all’istinto, che per natura è positivo. La prossima volta che mi capiterà di sentir crescere dentro di me un qualche sentimento di angoscia mi dovrò ricordare del mio “istinto” e pensare: “Si può superare, è istintivo”!


domenica 17 gennaio 2010

Il vento irrequieto

C’era una volta un piccolo villaggio della campagna [...]. I suoi abitanti credevano nella tranquillità. Se vivevi in questo villaggio, infatti, sapevi cosa ci si aspettava da te, conoscevi il tuo posto nel disegno prestabilito e se per caso te lo dimenticavi qualcuno ti aiutava a ricordarlo. In questo villaggio, se vedevi qualcosa che non avresti dovuto, imparavi a guardare dall’altra parte; se accadeva che le tue speranze venissero deluse, imparavi a non chiedere di più.

Così attraverso momenti belli e brutti, fame ed abbondanza, gli abitanti si tenevano stretti alle loro tradizioni, finche in un giorno d’inverno, un vento irrequieto soffiò da nord.


Colpì improvviso, portò novità e scompiglio: l’equilibrio cominciò ad essere minacciato ed a vacillare, portando alla luce tutte le sue debolezze e le contraddizioni. La tranquillità non era più scontata.

In una parola portò umanità, scoprì ciò che si celava sotto la maschera perfetta, ciò che era stato soppresso dalle regole, dalle consuetudini, dalle tradizioni; portò alla luce le speranze, i desideri, i sogni, le emozioni, tutto ciò che era stato messo da parte in nome di una ostentata sicurezza.


Le reazioni tra gli abitanti furono diverse: chi diede libero sfogo alle sue emozioni, chi rimase confuso, chi decise di tagliare con il passato, chi ebbe delle reazioni esasperate; ci fu anche chi non seppe sfruttare al meglio l’occasione rasentando il fanatismo, venendo per questo bandito dal villaggio.


Il tempo passò ed alla fine s’instaurò un nuovo equilibrio, più sincero e vero: ognuno aveva sì il proprio posto, ma non più motivato dalla paura, dal dovere o dal bisogno di tranquillità, bensì dal proprio stato d’animo rinnovato, libero e vivo.


Non possiamo misurare la nostra bontà in base a ciò che non facciamo, in base a ciò che neghiamo a noi stessi, a ciò a cui rinunciamo, a chi respingiamo. Dobbiamo misurare la bontà in base a ciò che abbracciamo, a ciò che creiamo e a chi accogliamo.

Quel giorno [...] furono colti da una nuova sensazione, un alleggerimento dello spirito, una liberazione dalla vecchia tranquillità.


Tuttavia il vento irrequieto del nord non era soddisfatto. Parlò [...] di paesi ancora da visitare, di amici bisognosi ancora da scoprire, battaglie ancora da combattere...da qualcun altro la prossima volta.

Così il vento del nord si stancò e andò per la sua strada.


Niente poté più disfare il tranquillo villaggio, i cui abitanti avevano finalmente imparato ad affrontare la vita di ogni giorno con entusiasmo e pazienza.




mercoledì 6 gennaio 2010

Rivelazione

Per diversi anni la mia mente era rimasta imprigionata in un mondo parallelo che io stesso mi ero creato nel tentativo di scacciare le paure e le incertezze del mondo reale. La mia mente si era abituata a questa condizione, un po’ come gli abitanti della Città di Smeraldo che, per via degli occhiali verdi, vedevano smeraldi dappertutto!


Ma tutto questo non poteva durare perché mi stava sfuggendo tutto davanti a me. Così, 5 anni fa oggi, capii che non volevo più ingannare nessuno ne, soprattutto, illudere me stesso e decisi di allontanare quel mondo parallelo che mi ero creato. Proprio oggi, il 6 gennaio giorno dell’epifania: era stato casuale, ma di una casualità sorprendente.


Epifania:

Dal lat. tardo epiphani¯a(m), o epiphani°a(m), che è dal gr. epipháneia, in origine agg. neutro pl., '(feste) dell'apparizione', deriv. di epiphánein 'apparire (phánein) da sopra

Definizione

s. f. 1 (relig.) manifestazione della divinità, del soprannaturale; in partic., festività cristiana che si celebra il 6 gennaio a ricordo della visita dei magi a Gesù e delle prime manifestazioni della sua divinità

2 (lett.) apparizione, manifestazione solenne.


James Joyce: [...] Epifania: questa è una tecnica di Joyce in cui un insignificante particolare o un gesto, o perfino una situazione banale portano un personaggio ad una visione spirituale con cui comprende se stesso e ciò che lo circonda [...] era la chiave della storia stessa, cioè alcuni episodi descritti, apparentemente non influenti o importanti, sono essenziali nella vita del protagonista e sono un emblema del loro contesto sociale e storico.


Così, dopo 5 anni, posso considerare quel periodo come una parte della mia vita come tante altre, una parte fondamentale, ma comunque passata: come direbbero i Magi, ho visto la mia stella!