lunedì 30 novembre 2009

Miserabilmente uomini

Un attore inscena uno spettacolo sulla società sconfitta dalle regole/assenza di regole del mercato. Cosa ne è della persona? Assimilata. Cosa ne è dell’individuo, crogiolo di sentimenti, emozioni, percezioni, sogni, desideri, intuito, carisma, abilità, esperienza, che caratterizza ogni persona? Miseria. Il mondo è pieno di miserabili.


E non è solo il mercato a dettar legge, ma tutte le sovrastrutture costituite e governate dall’Uomo conducono alla miseria: lo racconta bene un recente film dove i personaggi acquistano la felicità solo dopo essersi emancipati dagli schemi.

In quello spettacolo sulla metamorfosi della società, allestito in forma di ballata c’è, ad un certo punto, una canzone molto amara e commovente alla quale io voglio contrapporne un’altra, più vecchia e positiva: nonostante tutto non bisogna perdere la speranza. Avere un sogno, porsi un obiettivo e volerlo raggiungere deve essere la motivazione: non è tanto importante ottenerlo, ma piuttosto impegnarsi a vivere con il desiderio di raggiungere questo obiettivo.

martedì 24 novembre 2009

Il viaggio

Ho voglia di casa. Ma dov’è casa mia?


A volte le circostanze ci portano lontano dalle nostre case, dalle nostre città, dagli ambienti conosciuti, facendoci perdere di vista i nostri riferimenti. La vita è come un viaggio, che assomiglia al corso di un fiume. Alla sorgente il fiume è appena un torrente tumultuoso e rapido: man mano che scende verso valle accumula acqua e materiale, ingrossandosi, allargandosi e calmandosi; quindi assume il suo aspetto definitivo proseguendo il tragitto più o meno lungo verso il mare.

Così, noi nasciamo, esuberanti e spensierati, cresciamo, maturiamo, viviamo; come il fiume accumula sostanza lungo il suo corso così noi, negli anni, raccogliamo esperienze, viviamo sensazioni, conosciamo persone. E, come non si conosce il punto esatto dove il fiume incontra il mare, noi non conosciamo il nostro destino. La vita, come il fiume, si snoda lungo un’unica direzione, passato, presente, futuro: ciò che è stato, ormai lasciato alle spalle, compenetra ed amplifica il presente, che a sua volta funge da porta d’ingresso per ciò che verrà.

Nella vita non dobbiamo sentirci spaesati, spiantati, sradicati: restiamo sempre noi stessi anche se fisicamente ci spostiamo, anche se il tempo cambia le cose.

Past is another country, they do things differently – Il passato è come un’altra Nazione: cambia solo il modo di fare le cose.


Allora? La mia casa! Dov’è

Ovunque

domenica 22 novembre 2009

La telefonata

Ti do 18 perché te lo sei meritato.


Così mi congedò il professore dopo aver apposto il voto sul libretto, il 20 aprile 2005.

Dal 18 luglio 2000 erano passati più di 4 anni senza che io avessi sostenuto esami. Tanto, infatti, era durata la mia sospensione più o meno volontaria dagli studi universitari. In quel lasso di tempo avevo subito due interventi ad entrambi gli occhi per un glaucoma iperacuto da chiusura d’angolo; avevo frequentato l’Irlanda, iniziato a lavorare in un ambulatorio veterinario omeopatico e comprato casa. In quel lasso di tempo, a causa di un indefinito stato di malessere, non riuscii ad affrontare nessuna prova d’esame; in generale mi sentivo scoraggiato ed avevo perso ogni motivazione.


Poi, come risvegliandomi da un letargo mentale, il 6 gennaio 2005 decisi di ricominciare a fare sul serio, in primo luogo riprendendo in mano i libri e ripresentandomi agli appelli. Il primo tra gli esami che mi mancavano era stato fissato per il 26 gennaio 2005: fallii la prova e la ritentai appunto ad aprile, superandola meritatamente seppure con un voto basso. Qualcosa, però, non funzionava ancora in me, non mi sentivo del tutto libero dallo stato che mi aveva accompagnato negli anni precedenti; infatti, il 10 settembre 2005, nonostante fossero trascorsi quasi 9 mesi dalla scelta di ricominciare, mi resi conto che avevo bisogno di altro tempo, ma contemporaneamente capì che non era solo una questione di…tempo! Dovevo fare qualcosa, serviva un’iniziativa per sbloccare definitivamente la situazione. Presi il telefono e chiamai il Servizio Disabilità ed Handicap dell’Università: come ipovedente cieco ventesimista pensai che avrei potuto trovare un appoggio presso questo ufficio ed infatti fu così. Scoprii che effettivamente il personale addetto aspettava solo questo, che ogni studente disabile si facessero sentire per chiedere sostegno e consigli. Così ottenni il contatto del Professore di riferimento presso la mia Facoltà, il quale prese subito a cuore la mia causa. Grazie al suo intervento riuscii a concludere l’iter degli studi in meno di 2 anni: il 5 ottobre 2005 passai un esame, il 26 dello stesso mese non mi presentai ad un altro che, però, passai brillantemente il mese successivo, il 29 novembre 2005, dopodiché sostenni, a cadenza quasi mensile, superandoli al primo colpo, tutti gli esami fino all’ultimo, il 30 marzo 2007.


7 anni, dal 1993 al 2000, per svolgere metà degli esami, 5 anni di crisi, 2 anni per completare l’altra metà degli esami: la nebbia mentale cominciò a diradasi davvero dopo la telefonata all’Ufficio Disabili nel settembre 2005. Da quel 6 gennaio furono necessari circa 9 mesi per uscire progressivamente dallo stato in cui mi trovavo, 9 mesi in cui, nonostante l’entusiasmo derivato dalla rinnovata volontà di concludere l’università, dovevo ancora maturare una consapevolezza di me e, soprattutto, la decisione di compiere il passo decisivo, il gesto che avrebbe tolto definitivamente il freno.

martedì 17 novembre 2009

ER

Non si può programmare tutto, sorprese ed imprevisti possono succedere. Così può capitare di ritrovarsi improvvisamente in un posto non voluto nel bel mezzo della notte e di essere inermi ed in preda all’angoscia: ci si sente spossati, frustrati, irrequieti, affannati, agitati; nonostante il tentativo di mantenere la calma, la propria condizione si rispecchia negli occhi di chi ci è vicino e sta vivendo con noi l’esperienza.

Ma per fortuna che in quei momenti c’è qualcuno, che non si è soli, che si può contare su un appoggio, su persone che si prodigano per aiutarci. Queste persone sono pronte a sconvolgere i loro piani per noi e se decidono di essere coinvolti lo fanno per responsabilità, per lealtà, per coerenza e correttezza, per amore; non lo fanno per noi, ma con noi!

Riconoscenza è, innanzitutto, ciò che si meritano queste persone. Ecco a cosa serve l’angoscia: a distoglierci dall’eccessivo amor proprio, a ridimensionare il nostro orgoglio, a farci comprendere cosa e chi è davvero importante.

mercoledì 11 novembre 2009

La partita


Qualche anno fa andai a seguire una partita di pallone tra ipovedenti e vedenti, se non ricordo male la sfida venne organizzata dal Gruppo Sportivo Ciechi ed Ipovedenti di Bergamo, la mia città.

Da una parte il gruppo ipovedenti. Il loro allenamento si svolse in silenzio, si sentiva solo la voce dell’allenatore. I giocatori seguirono le istruzioni senza dire niente, nessun commento, nessuna battuta; probabilmente si stavano concentrando, forse pensavano, orgogliosi, all’evento esclusivo che li avrebbe visti protagonisti quel giorno.

La squadra dei vedenti arrivò in ritardo e l’impatto fu subito diverso.

Voci, ecco che cosa ricordo di loro. L’assenza del silenzio: risate, battute, commenti. Era quasi fastidioso; possibile che non avessero rispetto del silenzio?


Poi la partita iniziò. Non sto a raccontarla, ma una scena mi colpì.

Alla squadra dei vedenti fu fischiato un rigore, che venne sbagliato; infatti la palla finì alta sopra la traversa.

Il giocatore che sbagliò si giustificò dicendo che aveva dimenticato gli occhiali!

Dall’altra parte nessuno rise o commentò, e sono sicuro che nella testa dei giocatori ipovedenti si mescolarono tanti sentimenti. Sono sicuro che, come me, avevano provato prima di tutto indignazione, per la battuta di poco gusto, poi compassione, per la poca sensibilità, infine, delusione, per l’occasione persa di dimostrare sincera condivisione.

Avrebbero tanto desiderato prenderla sul ridere anche loro, avere il coraggio di scherzarci sopra, di condividere serenamente il fatto con tutti, ma non successe. Fu come osservare due mondi separati. Per un momento questi due mondi si erano incontrati grazie allo sport, ma era stato un passaggio, un volo di uccello, un flash, il passaggio di un treno in corsa diretto altrove.

Io, da ipovedente, era andato a seguire quella partita per curiosità e per capire se potevo in qualche modo partecipare alle attività del Gruppo Sportivo Ciechi ed Ipovedenti.

Non ebbi più modo di seguire le attività del Gruppo, ma quell’episodio mi diede lo spunto per alcune riflessioni.


I vedenti hanno più scelte degli ipovedenti. Penso, per esempio, al fatto che essi possono scegliere se prendere la propria macchina o no, possono scegliere se andare in bicicletta sulla strada o sulle piste apposite, possono scegliere se fare i chirurghi o lavorare in laboratorio, possono scegliere se prendere un televisore o un monitor per il computer grande o piccolo; possono scegliere di aiutare gli ipovedenti e, perché no, di capirli.

Una situazione che spesso mi angoscia è la folla, o meglio la confusione, quando, cioè, mi trovo in circostanze dove non riesco a contare nemmeno sui sensi che funzionano. Non potendo fare affidamento sui miei occhi, infatti, i sensi che mi restano sono l’udito ed il tatto; e nei luoghi dove le luci sono soffuse, la musica è alta e la gente è stipata, mi rimane solo il tatto. In quei momenti se mi passasse davanti qualcuno che conosco non riuscirei a vederlo, a meno che questi non mi prendesse il braccio di forza! Vorrei salutare, fermarmi a parlare, riconoscere le situazioni dagli sguardi, ma non posso. Anche per strada accade che qualcuno mi saluti e io non possa ricambiare, che qualcuno mi suoni dall’auto e io mi guardi intorno senza capire.

In queste situazioni, dove sembra trasparire soltanto superbia e non ciò che vorrei comunicare davvero, la mia fiducia vacilla e la tentazione di chiudermi in me stesso è forte. Però, penso che non si può colpevolizzare ne responsabilizzare nessuno della propria condizione: ognuno è libero di scegliere in base a come egli è, secondo il proprio carattere, nei modi e con i mezzi che conosce.

Quello che è realmente importante è la coerenza: se una persona, giusta o sbagliata che sia, è coerente, allora è rispettosa degli altri, anche di quelli diversi da lui e diventa perciò rispettabile.

lunedì 9 novembre 2009

Londra

Londra, anni 80.

I miei genitori partecipavano a cene, convention, meeting offerti dalle banche, intrattenendo pubbliche relazioni non paragonabili a quelle che si svolgevano a Bergamo.


Io piangevo.


I miei prendevano dimestichezza con la guida a destra, le vie della metropoli, le dimensioni della metropoli, i grandi magazzini.


Io soffrivo.


I miei imparavano a conoscere la migrazione, le culture, le abitudini e le tradizioni di altri popoli, la multietnicità.


Io resistevo.


I miei facevano la spesa con il trolley, compravano il latte in bottiglia con il tappo in alluminio, acquistavano stampe ed oggetti d’antiquariato.


Io cambiavo.


Londra, anni 00.

I miei hanno acquistato due appartamenti in multiproprietà, li hanno arredati ed ora li amministrano.

I miei si divertono a Londra.


Io anche.


L’esperienza londinese fu travolgente per i miei genitori, trasferitisi nella capitale inglese per motivi di lavoro. Bergamo era diventata stretta e per loro lo è tuttora!

Per me, invece, catapultato insieme a loro in un’avventura straordinaria senza rendermi conto di quello che stava succedendo, l’esperienza londinese fu traumatica e forse mi ha condizionato più di quanto avessi voluto od immaginato. A 5 anni non ero pronto ad affrontarla e mi sentivo costretto.


Oggi rivedo l’esperienza con occhi sereni e distaccati: ho assimilato quegli anni come una parte della mia vita, conservandone le esperienze e le sensazioni positive.

Oggi mi piacerebbe trasferirmi a Londra!

sabato 7 novembre 2009

Luce negli occhi

"Incredibile! -mormorò. L'uomo non somigliava affatto a lui, la donna poi conservava qualche cosa della donna-tigre del primo romanzo, ma non ne aveva la vita, il sangue. Pensò che quella verità che aveva voluto raccontare era meno credibile dei sogni che anni prima aveva saputi gabellare per veri. In quell'istante si senti sconsolatamente inerte, e ne provò un'angoscia dolorosa. Depose la penna, richiuse tutto in un cassetto, e si disse che l'avrebbe ripreso più tardi, forse già il giorno appresso."
Allora non c’è più niente da dire, niente da fare.
Passion is not maybe – La passione non è “forse”!
Sentimenti come fede, amore, passione non sono spinti dalla razionalità, che pure deve esserci, ma soltanto in seconda istanza. E quando si perde la capacità di sentire, quando viene a mancare la fiducia e non si credere più, cosa si può fare?
Chiediamolo a questi bambini che nonostante la pancia vuota sono capaci di regalare sorrisi sinceri con occhi vivi e sereni!






Lasciarsi pervadere dalle sensazioni, dai sentimenti, dalla bellezza, lasciarsi voler bene, lasciarsi amare: solo così ci si rende conto dei propri talenti e rinasce il desiderio di esprimerli.

venerdì 6 novembre 2009

La bambina

Attaccati bene.


Subito la bambina si attaccò al corrimano.


L’autobus era quello delle 18:45 e stava riportando me e la mia collega a casa. La mamma, con la bambina in braccio, era salita due fermate dopo la nostra e si era posizionata poco più avanti rispetto a dove eravamo seduti noi. La bambina, piccola, imbacuccata nel suo giubbotto rosa e la cuffia, sembrava sveglia ed attenta e seguiva tutto quello che le diceva la mamma. Questa, che sembrava altrettanto sveglia, era allegra, cantava e scherzava con la bambina.


Mi piaceva la scena, vedere una mamma serena e sicura ed una bambina già ben predisposta verso il mondo. Persone affidabili. Ed ho incominciato a pensare.

Come mi sentirei se fossi quella mamma? Voglio dire, considerando la mia disabilità visiva, dovuta ad una lesione congenita della retina di entrambi gli occhi, in quella situazione dovrei badare a me e ad un’altra persona ancora piccola, per cui dovrei stare attento due volte a quello che succede. E se, per una qualche paura od insicurezza data dalla mancanza di vista, mi venisse un attacco di ansia, che cosa farei? è ovvio che la mia preoccupazione sarebbe per la bambina, sicuramente cercherei qualcuno a cui chiedere aiuto, ma se non ci fosse nessuno? Ora, pensandoci, mi sento disarmato e penso che nella circostanza sarei preso dall’angoscia di dover chiedere aiuto a degli sconosciuti con un bambino in braccio.


Oggi questa eventualità mi spaventa e mi scoraggia: spero che non debba mai succedere, ma se dovesse, voglio pensare di riuscire a gestirla.

Il cielo è blu sopra le nuvole

[...] you and I cry/but the sun is still in the sky and shining above you [...]


Siamo troppo presi dai nostri pensieri, dalle nostre preoccupazioni, dalle nostre paure, dalle nostre esitazioni e non ci accorgiamo di quello che di positivo ci passa davanti; e quando ci rendiamo conto è troppo tardi e diventa molto più difficile rimediare. Vediamo solo le nuvole, ma ci dimentichiamo che al di là il cielo è blu ed il sole continua a brillare imperterrito.


Chi è abituato a volare sa che l’aereo deve compiere una faticosa salita per vincere la gravità e raggiungere la quota di crociera dove l’attrito è minore. Lo sforzo è ripagato: si apre uno spettacolo straordinario che da terra non si riesce ad immaginare. Ogni volta che guardo fuori dal finestrino penso: siamo sospesi in balia di qualche forza invisibile ed incontrollabile; è tutto un equilibrio di forze ed a pensarci vengono i brividi. Ma nello stesso tempo ammiro il sole, così lucente e confortante ed il cielo azzurro così limpido e rilassante: non penso più all’equilibrio di forze, che comunque esiste ma, piuttosto, “rinasco” di fronte allo scenario sorprendente.


giovedì 5 novembre 2009

La televisione

Improvvisamente ci si ritrova soli. Il mondo che si conosceva, con cui si conviveva, che si pensava perfetto, crolla, svanisce, ci abbandona di colpo. Si rimane soli, in piedi in mezzo alle macerie: e adesso?

Lo sconforto e la disillusione ci impediscono di compiere anche i gesti più banali a cui eravamo abituati e che ci sembravano scontati, come accendere la televisione!

Quindi si tenta di reagire ricercando qualcosa che tenga occupata la testa.


Poi succede qualcosa. Qualcosa d’inaspettato, di improvviso, d’impetuoso, di inevitabile. E ci coinvolge fino al midollo, al punto che s’incomincia a fare tutto in funzione di questo. Ci si sente bene, si vede tutto con occhi più sereni, si riprendono i semplici gesti, non ci si sente più soli e tutto sembra incastrarsi alla perfezione.


Ma questa successione così intensa di eventi, da una vita apparentemente stabile, alla sofferenza ed alla solitudine, all’euforia ed alla completa apertura, porta anche alla presa di coscienza di sé e del mondo, ad una maggiore consapevolezza ed alla necessità di metter ordine davvero nella propria vita. Ci si ritrova soli di nuovo, ma questa volta coscientemente e con un scopo preciso: ricercare ed esprimere se stessi. Il tempo, che tutto sistema, diventa complice in questa ricerca ma, senza forzare gli eventi, bisogna mantenere la volontà di andare fino in fondo.


Non avevo più acceso la televisione fino ad oggi, forse per una mia sciocca debolezza…


Tu hai fatto la cosa giusta al momento giusto. Se l’avessi accesa prima, probabilmente l’avresti odiata!

mercoledì 4 novembre 2009

L'una e l'altra

Lavoro in un rinomato centro di ricerca dove si sperimentano terapie contro le malattie renali croniche, il diabete e le malattie rare e dove vengono gestiti i pazienti che hanno subito un trapianto d’organo. Vedendo l’edifico da fuori non sembra un posto di lavoro, ne tanto meno un centro di ricerca!

Cosa ha spinto un medico veterinario come me, per di più diplomato in omeopatia veterinaria, ad accettare di entrare a far parte dell’organico di un Istituto di ricerca?


Negli ultimi 6 anni ho frequentato un ambulatorio veterinario tutt’ora esistente dove si pratica quotidianamente l’omeopatia sugli animali: questo mi ha permesso di conoscere con mano questa tecnica terapeutica, di verificarne gli effetti e valutarne i limiti e di capire quanto poco di effetto placebo ci sia nelle cure omeopatiche, avendo trattato cani, gatti, tartarughe e quant’altro che non possiedono la nostra componente suggestiva.

Un approccio alla malattia ed al malato totalmente diverso ed inconcepibile per la scienza. Negli ultimi 11 mesi, in Istituto ho incominciato ad apprendere come funzionano i progetti di ricerca, come vengono spartite le mansioni tra i dipartimenti, i laboratori ed i ricercatori, quali sono i meccanismi di sovvenzionamento della ricerca; ho potuto visionare articoli e pubblicazioni scientifiche e, non ultimo, gli stabulari degli animali.


Al di là dei pro e dei contro della ricerca scientifica e di tutte le parole che si dovrebbero spendere per spiegare cosa è e come funziona l’omeopatia e le sue differenze con la medicina tradizionale, è importante affermare che, se l’obiettivo finale dello scienziato e del medico è il benessere del paziente, entrambe le discipline mediche possono venire applicate, con razionalità e competenza: il metodo scientifico applicato all’omeopatia, la visione olistica applicata alla scienza; imparare come e quando usare una disciplina piuttosto che l’altra od entrambe e cosa usare dell’una e dell’altra.


Per questo ci vuole passione, competenza, tempo e fortuna, come in tutte le cose: le prime due dipendono da noi, per le ultime due, beh…dobbiamo avere fiducia.

lunedì 2 novembre 2009

Hakuna matata

Domenica 1 novembre 2009. Camminando verso casa nella “via degli stranieri” della mia città. La presenza di comunità di extracomunitari in una città piccola come la mia mi fa sentire bene.


Lunedì 17 e martedì 18 agosto 2009. Camminando per le strade di una grossa capitale europea. Ci sono comunità di extracomunitari anche qui, ma sono molte di più e vi vivono da molto più tempo. Anche questa è la mia città: ne ho fatto parte per alcuni anni ed ha continuato a darmi molto anche dopo che l’ho lasciata, insegnandomi che esiste un intero mondo oltre il mio e che posso farne parte. Ho frequentato le elementari in questa grossa metropoli, insieme con bambini di tutti i continenti. Fin da allora sono stato abituato a convivere con persone diverse ed a pensare che il mondo è irrimediabilmente eterogeneo. Infatti, in esso vivono genti con cultura, educazione, mentalità, obiettivi, leggi, filosofie, religioni diverse; è sempre stato e sarà sempre così.


In questo calderone non vi è niente di assoluto e tutto è relativo, ma per questo si può attingere da tutto: restare costantemente aperti verso ciò che ci circonda può contribuire davvero a dare un senso alla nostra vita.

In questo calderone non vi è niente di assoluto e tutto è relativo, ma per questo si può attingere da tutto: restare costantemente aperti verso ciò che ci circonda può contribuire davvero a dare un senso alla nostra vita.