sabato 19 giugno 2010

Oltre il colle

Una sera, come tante altre, mi sono incamminato a piedi verso il locale. Da casa mia si deve scollinare, seguendo un percorso quasi completamente pedonale. Prima bisogna salire per un vicolo lastricato di pavé, costeggiando edifici vecchi ristrutturati e muri di cinta interrotti da portoncini e cancelli. Spesso dalle case si sente il suono di un pianoforte che rompe il silenzio del vicolo senz’auto.

In cima alla salita il panorama finalmente si apre e si può osservare praticamente tutta la città bassa dall’alto fino alla periferia sud e, ancora più in là, fino all’aeroporto internazionale. La presenza di coppie di innamorati e non rende il paesaggio ancora più suggestivo.

Infine, si deve percorrere una parte della cinta muraria e ridiscendere verso la città bassa dalla parte opposta rispetto al punto di partenza, ripiombando nuovamente nel caos.


Le fasi della passeggiata rispecchiano i miei pensieri. La salita, che di solito inizio quando è ancora chiaro, è il momento più faticoso, quello in cui in genere si è più concentrati e che si vorrebbe finisse presto. In questa parte del percorso mi assalgono tutte le percezioni e le sensazioni più negative ed i pensieri più angoscianti dei giorni addietro. La mia mente, la mia anima ed il mio cuore sembrano prosciugati dal disincanto e dalla disillusione e s’inaridiscono, lasciando dentro di me una sensazione angosciante di ineluttabilità; mi sento in trappola.


La fine della salita è il momento in cui finalmente la fatica si scioglie, si recuperano le forze e s’incomincia a sentirsi sollevati. Prendo un grande respiro ed in un istante libero tutta l’ansia della salita: ora posso di nuovo pensare liberamente, lasciarmi pervadere dalle sensazioni e percepire il mondo circostante; la sensazione d’ineluttabilità lascia il posto ad uno stato d’animo di attesa e non mi sento più in trappola.


La discesa è decisamente piacevole, non si deve più faticare e ci si sente tranquilli. Penso a quella che mi aspetta (la gente del locale, le persone che conosco, il lavoro, i rapporti) e ripeto a me stesso le parole che qualcuno mi disse qualche giorno prima: Tu puoi fare tutto.

Questo non significa che io devo sapere e fare tutto quello che fanno gli altri; la cosa importante è sapere che io ho le stesse possibilità degli altri di provare gioie e dolori, di sperimentare difficoltà e serenità, di amare e di odiare. Io devo vivere la mia vita e non quella degli altri: è così che riuscirò a dare la giusta importanza alle cose e ad essere attivamente presente nel mondo e nella vita degli altri.


Ecco: la salita ha condotto alla discesa, i brutti pensieri iniziali hanno lasciato il posto a pensieri di accettazione e speranza.