mercoledì 11 novembre 2009

La partita


Qualche anno fa andai a seguire una partita di pallone tra ipovedenti e vedenti, se non ricordo male la sfida venne organizzata dal Gruppo Sportivo Ciechi ed Ipovedenti di Bergamo, la mia città.

Da una parte il gruppo ipovedenti. Il loro allenamento si svolse in silenzio, si sentiva solo la voce dell’allenatore. I giocatori seguirono le istruzioni senza dire niente, nessun commento, nessuna battuta; probabilmente si stavano concentrando, forse pensavano, orgogliosi, all’evento esclusivo che li avrebbe visti protagonisti quel giorno.

La squadra dei vedenti arrivò in ritardo e l’impatto fu subito diverso.

Voci, ecco che cosa ricordo di loro. L’assenza del silenzio: risate, battute, commenti. Era quasi fastidioso; possibile che non avessero rispetto del silenzio?


Poi la partita iniziò. Non sto a raccontarla, ma una scena mi colpì.

Alla squadra dei vedenti fu fischiato un rigore, che venne sbagliato; infatti la palla finì alta sopra la traversa.

Il giocatore che sbagliò si giustificò dicendo che aveva dimenticato gli occhiali!

Dall’altra parte nessuno rise o commentò, e sono sicuro che nella testa dei giocatori ipovedenti si mescolarono tanti sentimenti. Sono sicuro che, come me, avevano provato prima di tutto indignazione, per la battuta di poco gusto, poi compassione, per la poca sensibilità, infine, delusione, per l’occasione persa di dimostrare sincera condivisione.

Avrebbero tanto desiderato prenderla sul ridere anche loro, avere il coraggio di scherzarci sopra, di condividere serenamente il fatto con tutti, ma non successe. Fu come osservare due mondi separati. Per un momento questi due mondi si erano incontrati grazie allo sport, ma era stato un passaggio, un volo di uccello, un flash, il passaggio di un treno in corsa diretto altrove.

Io, da ipovedente, era andato a seguire quella partita per curiosità e per capire se potevo in qualche modo partecipare alle attività del Gruppo Sportivo Ciechi ed Ipovedenti.

Non ebbi più modo di seguire le attività del Gruppo, ma quell’episodio mi diede lo spunto per alcune riflessioni.


I vedenti hanno più scelte degli ipovedenti. Penso, per esempio, al fatto che essi possono scegliere se prendere la propria macchina o no, possono scegliere se andare in bicicletta sulla strada o sulle piste apposite, possono scegliere se fare i chirurghi o lavorare in laboratorio, possono scegliere se prendere un televisore o un monitor per il computer grande o piccolo; possono scegliere di aiutare gli ipovedenti e, perché no, di capirli.

Una situazione che spesso mi angoscia è la folla, o meglio la confusione, quando, cioè, mi trovo in circostanze dove non riesco a contare nemmeno sui sensi che funzionano. Non potendo fare affidamento sui miei occhi, infatti, i sensi che mi restano sono l’udito ed il tatto; e nei luoghi dove le luci sono soffuse, la musica è alta e la gente è stipata, mi rimane solo il tatto. In quei momenti se mi passasse davanti qualcuno che conosco non riuscirei a vederlo, a meno che questi non mi prendesse il braccio di forza! Vorrei salutare, fermarmi a parlare, riconoscere le situazioni dagli sguardi, ma non posso. Anche per strada accade che qualcuno mi saluti e io non possa ricambiare, che qualcuno mi suoni dall’auto e io mi guardi intorno senza capire.

In queste situazioni, dove sembra trasparire soltanto superbia e non ciò che vorrei comunicare davvero, la mia fiducia vacilla e la tentazione di chiudermi in me stesso è forte. Però, penso che non si può colpevolizzare ne responsabilizzare nessuno della propria condizione: ognuno è libero di scegliere in base a come egli è, secondo il proprio carattere, nei modi e con i mezzi che conosce.

Quello che è realmente importante è la coerenza: se una persona, giusta o sbagliata che sia, è coerente, allora è rispettosa degli altri, anche di quelli diversi da lui e diventa perciò rispettabile.

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